domenica 12 maggio 2013

IL CANTO DEL GALLO


Una squadra NBA, di quel basket americano che ha sempre guardato con occhio diffidente l'arrivo di giocatori europei e che, fino al 2006, non conosceva neppure la nostra lingua, dipendente dalle prestazioni di un italiano? Sembra impossibile, eppure è la storia dei Denver Nuggets di quest'anno.

Dominanti per lunghi tratti, soprattutto tra le mura amiche, in stagione regolare, i Nuggets si sono improvvisamente e inaspettatamente sciolti nel momento decisivo dei playoff, uscendo, anche più nettamente di quanto dica il punteggio di 2-4 subito dai Warriors, al primo turno. Mile High City non era stata abituata a veder perdere i suoi beniamini, anche viste le 38 vittorie e sole 3 sconfitte, record per la franchigia, al Pepsi Center. Eppure già dal primo match, vinto a fil di sirena grazie al veterano Andre Miller, si era capito che qualcosa non andava. E la sconfitta in gara 2, per altro quasi mai in discussione, con oltre 130 punti subiti, ha confermato il trend negativo che era nell'aria, viste le ultime, deludenti prestazioni in regular season. Cerchiamo di trovare qualche motivo a questa disfatta.

Ciò che aveva reso Denver una squadra di vertice a Ovest, negli ultimi tempi la più dura e combattuta delle due conference, durante l'anno era stato un gioco esuberante, sopra gli schemi, dettati comunque benissimo dal neo coach dell'anno George Karl, mai domo e a tutto campo, fatto di velocità e attacco ai massimi livelli e di una difesa, anche se a volte troppo libertina, che reggeva bene il confronto con quasi tutti gli avversari. Simbolo, prima scelta in attacco e, a mio avviso, go-to-guy di questa formazione era il nostro uomo, di cui parlavamo sopra, Danilo Gallinari. Un italiano alla conquista dei parquet americani, che non ha mai sfigurato di fronte a nessuno, nella sua stagione migliore, lanciato verso playoff da protagonista con la terza forza di conference. Sembrava tutto perfetto, ma il destino non si cura anche delle storie migliori.

In una penetrazione a canestro sul campo dei Mavericks, Danilo appoggia male il piede e in quell'azione, una delle innumerevoli di un anno fatto di almeno 82 partite per ciascuna squadra, Denver perde non solo il ginocchio sinistro del lodigiano, ma con esso anche molte delle sue speranze di concorrere all'anello. Affrettato come giudizio? Denver vince quel match, ne vincerà diversi altri prima delle gare a scontro diretto, ma smetterà subito di convincere come aveva fatto fino a quando l'ala piccola italiana era partita titolare. Molti meno punti a referto, la difesa non migliora, anzi anch'essa risente dell'assenza di un giocatore ordinato e difensivamente rilevante.

Gallinari quest'anno, oltre ai 16 punti abbondanti di media, aveva messo in campo un'intensità di gioco che altri, con la sua stessa divisa, avevano dimenticato in spogliatoio, mettendo a disposizione tutte le sue abilità cestistiche, oltre a doti degne di un prestigiatore, visti i canestri irreali contro Rockets e Bucks, e di leader di squadra, avendo tra le mani quasi sempre la palla quando più scottava e, spesso, con ottimi risultati, come nella vittoria sul filo di lana con i Lakers allo Staples. In un anno in cui Lawson e Faried si sono confermati o migliorati in quasi tutti gli aspetti del loro gioco, ma il presunto caposquadra Igoudala, oltre a medie ribassate di molto rispetto alle sue nei Sixers, non ha mostrato nemmeno molta intensità o voglia di vincerle tutte, Danilo ha preso a pieno ritmo le redini dei Nuggets.

Nonostante l'assenza dall'All Star Game, normale per un europeo che non sia un fenomeno anche in ambito mediatico come Nowitzki, ma normale anche vista l'assenza incredibile di un top come Curry, il nostro connazionale è entrato di diritto nel cuore dei tifosi di Mile High City. Si sono moltiplicate le sue divise tra il pubblico e, con esse, il tifo e il sostegno per le sue giocate e il suo impegno. Guardando le sue partite con commento originale potrete notare come anche il tifosissimo cronista dei Nuggets lo elogi ripetutamente e, a volte, si lasci andare a frasi quasi epiche per una partita di regular season, come il famoso “the best shot of the century” urlato verso il circus shot decisivo di Danilo contro Milwaukee.

Tutto si è però fermato in quella sera texana e non ha permesso a una stagione incredibile di diventare perfetta. Nessuno sa come sarebbe andata con Danilo in campo, ma sicuramente i 100 punti scarsi di media a partita nelle 6 contro Golden State sarebbero stati di più e, poco ma sicuro, il lodigiano avrebbe messo il cuore e l'orgoglio dove magari non sarebbero arrivati i tiri o le percentuali. I Nuggets, spodestati anche dal punto di vista emotivo, da una squadra giovane e sconsiderata come quella californiana, con il già citato Curry a fare da fenomeno assoluto, hanno perso su tutti i fronti il confronto.

Speriamo che la bella favola di Mile High City, iniziata e non finita quest'anno, possa concretizzarsi in un futuro più o meno lontano, magari mettendo un anello al dito all'italiano che proverà ancora a conquistare l'America.  

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