sabato 29 marzo 2014

(TOP) & FLOP DELLA STAGIONE NFL : ATLANTA FALCONS

I Falcons, nel 2012, cominciano la loro fenomenale regular season con otto vittorie consecutive. Perdono poi lo scontro divisionale con i Saints, conquistano altri quattro successi e delle ultime quattro partite ne portano a casa due, cadendo contro Panthers e Buccaneers. Un fantastico record di 13-3 vale loro la qualificazione ai playoff senza nemmeno passare dal Wild Card Game. Contro i Seahawks, al Divisional, è un field goal da 49 yard di Matt Bryant, a pochi secondi dal termine, a salvare Atlanta dal subire una clamorosa rimonta. Nel Championship contro i Niners la storia si ripete, con i Falcons che scappano avanti e vengono alla fine ripresi e superati nel punteggio. Nel loro ultimo e decisivo drive arriveranno a 10 yard dalla end zone avversaria, a 10 yard dal Super Bowl. Un anno dopo, quelle 10 yard sembrano essere soltanto un miraggio. Gli spazi che dividono Atlanta dalla gloria NFL si sono enormemente allargati e hanno inghiottito tutti i sogni di una squadra costruita per vincere, trasformandoli in incubi difficilmente cancellabili.


Addossare troppe colpe per la disfatta dell'ultima stagione a Matt Ryan sarebbe ingiusto. È senza dubbio vero che sia stato proprio lo scarso coraggio del quarterback dei Falcons a frenarli in diverse situazioni decisive e sprecate, in quest'annata come nelle precedenti. Basti pensare che sette delle dodici sconfitte stagionali di Atlanta sono arrivate con meno di sette punti, con meno di un possesso, di scarto. Delle altre cinque debacle senza appello subite da Atlanta, quattro sono arrivate consecutivamente ed è innegabile che Ryan abbia deluso per ampi tratti. Le sue statistiche parlano da sole: tra Cardinals, Panthers, Seahawks e Buccaneers, il quarterback da Boston College ha collezionato un 96/160 per 236.5 yard di media che abbassa del 7,4% la sua percentuale di completi nel complesso dell'intera stagione e di quasi 50 yard il suo fatturato medio al lancio. Soprattutto, però, ha regalato solamente 5 touchdown passes ai compagni, lasciando ben 9 intercetti alle difese avversarie.

È anche vero, però, che pur avendo tentato più lanci di tutti in NFC (651) ne ha completati ben 439 (67.4%), terzo nella statistica, dietro solamente a Peyton Manning (450/659, 68.3%) e Drew Brees (446/650, 68.6%). La differenza? Il quarterback di Denver aveva a disposizione tre ricevitori potenzialmente da Pro Bowl, mentre quello dei Saints, non bastasse il receiver leader di sempre per la franchigia, Marques Colston, e uno dei rookie più promettenti nel ruolo, Kenny Stills, ha come scelta anche e niente meno che Jimmy Graham, al momento il miglior tight-end dell'intera Lega. Ryan ha trovato, almeno nei primi match, in Julio Jones il solito, eccellente compagno di giochi. Prima di infortunarsi gravemente al piede, Jones aveva ricevuto per 580 yard in sole cinque gare, che proiettato sulle sedici totali darebbe 1.856 yard totali, un dato spaventoso. Certo è che, pur avendo perso il suo miglior ricevitore, Ryan ha comunque toccato le 4.515 yard al lancio (6.94 di media), con 26 TD pass e 17 INT, per un totale di 89.6 di quarterback rating. Insomma: bene, ma non benissimo.


Vista l'assenza di Jones, ci si attendeva moltissimo da Roddy White, che aveva una media di 1.295 yard e 8 touchdown annui nelle precedenti sei stagioni. Il receiver è andato invece ben al di sotto dei suoi standard con “sole” 711 yard guadagnate e tre touchdown. Tuttavia è letteralmente esploso Harry Douglas, che ha ricevuto 85 palloni su 133 in cui era il target (64%) per 1.067 yard, quasi il triplo di quanto aveva fatto solamente due anni fa. Il solito, straordinario Tony Gonzalez ha chiuso la sua carriera con altre 859 yard in cascina, oltre a ben otto touchdown, record di squadra, e senza alcun fumble. Un campione senza età, forse il miglior tight-end della storia NFL. Se il passing game non è stato tra i peggiori, il gioco di corse è stato l'ultimo in assoluto per portata ed efficienza. Solo 321 gli attacchi tentati, 20.1 di media, per un totale di 1.247 yard totali ottenute (40 meno del solo Jamaal Charles, 360 meno del leader NFL, LeSean McCoy), 77.9 a partita. Significativo come Steven Jackson (157 portate per 543 yard, 3.5 di media), tanto quanto Jacquizz Rodgers (96 portate per 332 yard, 3.5 di media) e Jason Snelling (44 portate per 164 yard, 3.7 di media) non si siano nemmeno avvicinati alla soglia delle quattro yard portate a casa in ogni loro azione palla alla mano. Nonostante il dato per il numero di touchdown su corsa sia ottimo (11), così come il numero dei fumble (1), i Falcons hanno bisogno di rivalutare e rinvigorire il running-game se vogliono dare continuità e varietà alle loro offensive.

La difesa certo non è stata eccelsa durante la stagione. Ben 379.4 le yard di media concesse a partita dai Falcons (27° in NFL a pari merito coi Jaguars), con uno dei peggiori dati anche per quanto riguarda i punti concessi a partita: 27.7 di media, per un totale di 443. Inoltre, Atlanta ha il secondo peggior dato per quanto riguarda le yard concesse per ogni giocata (6.1). La retroguardia è la ventunesima per quanto riguarda le yard totali trovate dai receiver avversari (3.897), con la seconda peggior media per ogni lancio a segno subito (8). Ben 31 i touchdown passes trovati dai quarterback opposti ai Falcons e solo 10 gli intercetti portati, lasciando una media di ben 102.4 ai QB rating avversari. Nonostante questo, peggio è riuscita a fare la difesa sulle corse, penultima per yard (2.173) e per media di yard a giocata subita (4.8). Ben 135.8 le yard lasciate su corsa a partita, 14 i touchdown per i runningback avversari e solo cinque i fumble forzati. Se i tackle, nel complesso, sono arrivati in numero accettabile (1.050), altrettanto non si può dire per quanto riguarda i sack (32, penultimi nel dato) e i pass deflected (67, ultimi nel dato). Insomma, un assoluto disastro, tanto di squadra quanto per i singoli. Da sottolineare solo i 127 tackle (79+48) di Paul Worrilow, i 17 pass deflected (25% del totale) con due intercetti del rookie Desmond Truffant, tra le note più positive di questa tremenda stagione dei Falcons, e i 7.5 sack di Osi Umenyiora, leader di squadra in una statistica quanto mai povera.

Se Panthers e Saints hanno vissuto un'ottima stagione e si sono entrambe qualificate ai playoff, per altro uscendo poi al Divisional, i risultati delle altre due compagini di NFC South sono stati oltremodo imbarazzanti. Falcons e Buccaneers hanno chiuso con quattro vittorie e dodici sconfitte, ma se il tracollo di Tampa Bay era quanto meno pronosticabile dai nemici dei Bucs, quello di Atlanta ha sorpreso tutti, tanto che il record è quasi l'opposto di quello di due stagioni fa. La squadra della Georgia ha chiuso negativamente tanto in casa (3-5), quanto, soprattutto, in trasferta (1-7). E dire che la stagione era cominciata con una sconfitta, comunque confortante perché combattuta, contro New Orleans ed era proseguita con un'affermazione sui Rams. Poi tre sconfitte più o meno di misura contro Dolphins, Patriots e Jets. La vittoria contro i Buccaneers portava il team sul 2-4 e comunque avrebbe lasciato spazio a una possibile rimonta, considerato anche l'inizio titubante dei Panthers. Le quattro, nettissime sconfitte sopra citate hanno spezzato le gambe a ogni possibile desiderio di gloria e hanno chiuso definitivamente la stagione dei Falcons, prima ancora di poter sperare in qualcosa di grande. Ancora i Saints, poi Packers, Niners e Panthers una seconda volta hanno trasformato il tutto in un disastro di proporzioni davvero troppo ampie.



Cosa serve a questi Falcons? Un po' di tutto. Dalla free agency sono arrivati il defensive end Tyson Jackson e la guardia Jon Asamoah dai Chiefs, oltre al defensive tackle Paul Solilai dai Dolphins, al wide receiver e mitico returner Devin Hester e al cornerback Javier Arenas dai Cardinals. Con il Draft servirà aggiungere un tight-end che possa sostituire, almeno nel ruolo, non certo nella fama, il futuro hall of famer Tony Gonzalez. In difesa manca ancora un defensive end che possa coprire al meglio il ruolo nella 4-3 di Atlanta, oltre a un offensive tackle sulla sinistra, primo obiettivo nell'ordine. Servirà ancora molto prima che la squadra della Georgia possa tornare a un livello anche solo simile a quello che aveva raggiunto due stagioni fa. Quelle 10 yard, i tifosi del Falcons, le dovranno sognare ancora a lungo.

giovedì 27 marzo 2014

TOP & WORST NBA - EPISODE 20 (19/03 - 25/03)

Best of the East

Best Team: Brooklyn Nets


L’aria di primavera sta dando i suoi frutti, facendo rinascere questi Nets dal loro letargo invernale. Dieci vittorie e tre sconfitte, questo il tabellino di un mese di marzo eccellente per il team che ha casa al Barclays Center. Dopo la sconfitta contro i Wizards, ecco che Suns, Bobcats, Celtics e Mavericks si sono dovute inchinare alla corte di Jason Kidd, prima del KO inaspettato in overtime contro i Pelicans. Se Boston non è temibile quest’anno, le altre tre squadre sono in piena lotta per un posto nei playoff, eppure hanno dovuto soccombere ad un team che, ad oggi, il posto nella post-season ce l’ha (quasi) assicurato a quota 37-32, ma che sta procedendo a grandi passi verso le zone altissime della Eastern Conference. Quel terzo posto che solo qualche mese era pura utopia oggi è, a tutti gli effetti, l’obiettivo di Brooklyn per questo finale di stagione. Se dopo 13 gare dall’inizio della stagione il progetto dei Nets sembrava un disastro completo, a 13 gare dalla fine sta prendendo sempre più una forma concreta. Attenzione a chi se li troverà di fronte..

Best Player: Amar’e Stoudemire

Forse sarebbe giusto citare Carmelo Anthony per render gloria al periodo positivo di questi Knicks, alla ricerca disperata dell’ottavo posto utile per i playoff. Chi è stato decisivo, con Melo certo, ma alzando di netto il proprio rendimento proprio in questo finale di stagione, è stato Stoudemire. La striscia di sette vittorie consecutive si è interrotta nell’ultima uscita contro i Cavs, in una gara in cui comunque Amar’e ha chiuso con il 60% al tiro (6/10) e con un +3 di plus/minus. Nelle precedenti sette sfide contro T-Wolves, Jazz, Cavs, Sixers, Bucks, Pacers e nuovamente Sixers, le sue medie stagionali (11.3 punti e 4.7 rimbalzi), si sono considerevolmente alzate fino a raggiungere i 15.7 punti con 5.9 rimbalzi e un eccellente plus/minus medio di +11.3 in oltre 25 minuti di impiego. La squadra con Stoudemire in campo sta girando alla grande ed è salita al record di 29-41, a tre partite di distanza dagli Hawks, al momento ultima squadra ammessa alla post-season. In una stagione tanto tragica, raggiungere i playoff sarebbe, almeno, una grande boccata d’ossigeno.

Best of the West

Best Team: Phoenix Suns

Dopo due settimane nei worst team, ecco le quattro vittorie consecutive che tutti i tifosi dei Suns stavano aspettando per continuare a sperare nel sogno playoff. Magic, Pistons, Timberwolves e Hawks si arrendono a Phoenix e, se per Orlando quest’anno ormai è quasi un’abitudine (52 sconfitte finora), Detroit e Minnesota danno probabilmente l’addio definitivo a quel desiderio che invece il team dell’Arizona deve essere bravo e attento a cullare fino in fondo. Insieme a un sempre eccelso Goran Dragic, sono Gerald Green e Markieff Morris i protagonisti della rivalsa della formazione di Jeff Hornacek, che sta facendo un lavoro sublime con un roster non ancora eccezionale. I Grizzlies sono settimi a quota 42-28, mentre i Suns hanno agganciato i Mavericks a quota 42-29. Da qui alla fine Phoenix dovrà affrontare numerose insidie, tra cui molti dei migliori team di questa Western Conference, ma dopo questi sette giorni è tornata in auge per una piazza nella post-season. Basterà crederci fino in fondo?

Best Player: Kevin Durant


MVP, MVP, MVP! Che sia stato il miglior giocatore della settimana appena passata in Western Conference non fa nemmeno più notizia. Lo fa, però, il suo tabellino, prima della serata di “riposo” contro i Nuggets da “soli” 27+8+4: nelle tre gare prima dell’ultima uscita, tutte vinte dai Thunder contro Bulls, Cavs e Raptors, sono arrivati 40.3 punti col 51.4% al tiro, 11.7 rimbalzi e e 6 assist. Ogni partita è stata chiusa con almeno 35 punti, 10 rimbalzi e 5 assist, oltre che con il 54.2% di media da tre punti. Se a questo si aggiungono le medie stagionali di 32.1 punti, 7.7 rimbalzi, 5.6 assist e un 21% di PIE (più del doppio della media degli altri giocatori NBA), oltre ai 51 punti contro Toronto, con per altro la bomba della vittoria allo scadere del primo tempo supplementare, il tutto assume un contorno quasi inumano. Oklahoma City ha già raggiunto le 50 vittorie stagionali (52-18) e sembra doversi arrendere solo agli scatenati Spurs di questo finale di annata per quel che riguarda il primo posto ad Ovest. KD, invece, non lo può fermare proprio nessuno!

Best of the Rest

SPURS! AGAIN!: rischieranno davvero di diventare noiosi, se vanno avanti di questo passo. Jazz, Lakers, Kings, Warriors e Sixers sono le ultime cinque di tredici quattordici consecutive capitate tra le mani di San Antonio a cavallo tra febbraio e marzo. 27-8 tra le mura amiche, speculare al 27-8 quando si gioca lontano dall’AT&T Center. Totale: 54-16 e primo posto quasi in cassaforte, con due partite di vantaggio sui Thunder. Arrivederci e grazie, firmato Spurs.


WILD, WILD WEST: 586 vittorie, 469 sconfitte. Tre squadre oltre la soglia delle 50 vittorie, nove oltre quella delle 40. Due squadre con meno di 20 sconfitte, nove con meno di 30. Sei squadre con un record negativo, ma nessuna di esse è sotto lo 0.300. Una serratissima lotta per tutte le posizioni utili per i playoff, nessuno ancora sicuro di essere ammesso alla post-season se non gli Spurs, nessuno sa però dove finirà la sua stagione. Signori, la Western Conference.


Worst of the East

Worst Team: Atlanta Hawks

Non è il momento giusto per iniziare una striscia negativa, ma questo gli Hawks sembrano non averlo capito da un po’. Dopo le cinque vittorie consecutive, che avevano dato respiro ad Atlanta, piantonata dai Knicks alle spalle, ecco arrivare altre tre sconfitte in fila. Pelicans, Raptors e Suns hanno passeggiato sui Falchi, che si ritrovano ora in una situazione davvero precaria. Il record (31-38) assicura ancora l’ottava piazza, ma New York, rivitalizzata dall’arrivo del Maestro Zen, incombe (29-41), a meno di tre partite di distanza. Nonostante il miglior tiratore da tre punti in questa stagione, Kyle Korver, che ha quasi il 50% al tiro da oltre l’arco, e nonostante Paul Millsap e Jeff Teague non stiano di certo sfigurando, l’assenza di Al Horford sembra pesare come un macigno, soprattutto a livello psicologico. Manca un leader a questi Hawks. Servirà trovarlo il più presto possibile, se non si vuole perdere anche l’ultimo treno.

Worst Player: Paul George

Il Most Improved Player of the Year della scorsa stagione, che ad inizio anno aveva stupito tutti per efficienza e continuità di prestazioni, arrivando ad essere considerato tra i migliori giocatori della Lega, si sta prendendo un periodo di pausa. Nelle ultime cinque partite, due vittorie e tre sconfitte per i suoi Pacers, ha tirato con una terrificante media del 26.3%, prendendo 76 conclusioni e mettendone a segno la miseria di 21. Se non fosse stato per un 32/35 ai liberi complessivo la sua media sarebbe stata di molto inferiore ai 16 punti, già per altro molto più bassa rispetto ai 21.8 a partita messi a segno nel computo dell’intera stagione. Se contro i Sixers la vittoria è arrivata perché Philly ha deciso di non vincere più, mentre contro i Bulls George ha aggiunto almeno 12 rimbalzi e 10 assist al 3/13 al tiro, con 1/5 da tre punti, nella seconda gara contro Chicago e contro Knicks e Grizzlies sono arrivate prestazioni scadenti abbinate a una sconfitta. La situazione di Indiana in testa alla Eastern non è più così salda. Quando si sveglierà George?

Worst of the West

Worst Team: Portland Trail-Blazers


I Blazers stanno giocando col fuoco e lo stanno facendo nel posto sbagliato, al momento sbagliato. Nel mese di marzo sono arrivate sei vittorie a fronte di otto sconfitte, sette nelle ultime dieci, e questo non ha fatto che peggiorare quello che sembrava solamente un periodo di flessione dopo l’All Star Game. Dopo i successi su Bucks e Wizards sono arrivati i KO contro Bobcats e Heat. Non preoccupano le sconfitte in sé, ma il modo in cui sono state rimediate. Charlotte ha passeggiato su Portland, infliggendole un pesantissimo +30, mentre Miami, in un periodo assai critico, era in quell’occasione più battibile che nella maggior parte delle altre circostanze. I Blazers soffrono la lontananza da casa (19-17) ed ora, a quota 45-26, devono cominciare a guardarsi alle spalle. I Warriors sono sesti ad una sola gara di distanza e sarebbe il minore dei mali. Occhio però che le tre squadre alle prese con la bagarre per la post-season sono solo tre partite più in basso. Se Portland continuerà di questo passo, il Rose Garden rischia di non vedere i playoff.

Worst Player: Dirk Nowitzki

Nella vincente e straordinaria Western Conference è sempre difficile scegliere un giocatore che abbia sfigurato. Se Nowitzki non sta certo vivendo una stagione negativa e nemmeno ha giocato male durante il corso della settimana, nella lotta per i playoff che comprende i suoi Mavs, i Suns e i Grizzlies, senza lasciare al sicuro nemmeno Warriors e Blazers che le precedono, il tedesco non è sembrato quel giocatore fantastico e decisivo che garantisce sempre a Dallas delle ottime prestazioni. Nelle due, pesanti sconfitte contro T-Wolves e Nets, che hanno rimesso i texani nel pieno della lotta, anzi li hanno fatti scivolare al nono posto momentaneo, a pari merito però come score complessivo con Phoenix all’ottavo, Wunder Dirk ha tirato con un pessimo 13/39 e un ancor peggiore 0/10 da oltre l’arco. I 10 punti contro Brooklyn rappresentano uno dei minimi stagionali per Nowitzki, abituato a ben altri tipi di performance. In Western Conference ogni partita, ogni dettaglio conta se si vuole andare ai playoff.

Worst of the Rest

PACERS & HEAT STRUGGLING: che succede in vetta alla Eastern Conference? Periodo di riposo in vista dei playoff o si può parlare di crisi?. Entrambe sono 5-5 nelle ultime dieci partite giocate, Miami in marzo è a quota 7-7, mentre Indiana addirittura 7-8 ed entrambe hanno deteriorato il loro record in trasferta (19-16 Indiana, 20-15 Miami). Questo non è di certo un bel segnale in vista delle partite e delle serie che contano. Wake them up when March ends..



MEAN, MEAN EAST: 468 vittorie, 585 sconfitte. Una squadra oltre la soglia delle 50 vittorie, una oltre quella delle 40. Nessuna squadra con meno di 20 sconfitte, due con meno di 30. Nove squadre con un record negativo, con tre di esse sotto lo 0.270. Una lotta a chi ne perde di meno sia per quanto riguarda la testa della Conference sia per l’ottavo posto utile per i playoff sia per ogni altra posizione disponibile che valga almeno l’accesso alla post-season. Signori.. lasciamo perdere!

martedì 25 marzo 2014

VIRTUS, CHI SEI VERAMENTE?

Nei primi mesi di questa stagione un grande risalto hanno avuto le imprese di quella che oggi si chiama Granarolo Bologna ma che tutti conoscono ancora e giustamente come Virtus. 


Le Vu nere hanno iniziato la stagione nel miglior modo possibile cioè macinando vittorie, cogliendo i due punti anche contro avversari particolarmente difficili da affrontare, Sassari e Milano su tutti. Dopo il primo terzo di campionato Bologna si trovava ad una sola vittoria dalla vetta e i tifosi già pregustavano una stagione condita da parecchie vittorie, il contrario di quelle che purtroppo negli ultimi anni si sono viste intorno alla Unipol Arena. Coach Luca Bechi sembrava l’uomo giusto al posto giusto, il condottiero che avrebbe potuto realmente portare gli emiliani se non proprio agli antichi fasti perlomeno ai playoff, traguardo assai gradito dai tifosi, in particolare dopo una stagione di magra come quella dell’anno scorso, conclusa al terzultimo posto.

Dal punto di vista del roster il presidente ed ex gloria virtussina Renato Villalta insieme al DS Bruno Arrigoni avevano costruito una squadra che, seppur non imbattibile, poteva contare su giocatori di primo piano come Dwight Hardy, giovani dal futuro radioso (capitan Gaddefors e Matteo Imbrò) e inoltre avevano pescato dal mazzo la carta vincente Matt Walsh. Proprio la guardia/ala americana era stata osannata ad inizio anno come il salvatore della patria bolognese e spesso il suo ingresso dalla panchina è coinciso con la svolta della partita. 

Poi la sorpresa: il meccanismo che sembrava essere vincente ad un certo punto si è inceppato. Non è semplice capire la causa di questa situazione proprio perché Bologna aveva dimostrato di essere una squadra con la mentalità vincente che aveva capito i suoi punti di forza e riusciva a sfruttarli sempre al meglio. Dando uno sguardo al calendario si può vedere come dopo nove giornate la Virtus aveva messo 12 punti in cascina, due meno di quelli conquistati dalle squadre che erano in testa alla classifica. Dalla giornata successiva a quella appena passata le vittorie sono state solamente due e l’ultima risale addirittura al 2 febbraio in casa contro Siena.

Una crisi di gioco e di risultati sta accompagnando la Granarolo in queste ultime settimane e ora la squadra si trova pericolosamente a 16 punti, due in più di Montegranaro e quattro punti sopra l’ultimo posto, quello che significa retrocessione, occupato dall’inizio del campionato dalla Vuelle Pesaro. La dirigenza ha operato sul mercato portando nella città felsinea il lungo Ndudi Ebi, in arrivo da Israele ma già visto in Italia a più riprese. Il nigeriano (che peraltro vanta anche un’esperienza in NBA) sta dando il suo contributo alla causa bolognese mettendo a referto più di 10 punti di media a partita ma ciò non sembra bastare. Un cambio che dovrebbe rivoluzionare la squadre dovrebbe essere quello del playmaker, ruolo chiave all’interno della squadra. Casper Ware è stato un bel colpo estivo della coppia Villalta-Arrigoni, visto che altre squadre erano interessate al ragazzo californiano che a Casale nella prima esperienza dopo il college si era messo in mostra con una media di oltre 20 punti a partita, venendo anche incoronato miglior giocatore della serie cadetta. Purtroppo le attese non si sono tramutate in realtà e il play di Cerritos è stato silurato poco prima della metà di marzo per essere sostituito da Willie Warren, ragazzotto di Dallas scelto al numero 54 dai Clippers nel 2010 ma che in NBA non ha lasciato traccia. È necessario che Warren recepisca in fretta le idee del suo coach per tentare di portare a casa qualche vittoria in questo finale di stagione che si preannuncia particolarmente infuocato.


Ma i cambiamenti non hanno riguardato solo la squadra infatti a passare di mano è stata anche la guida tecnica. Luca Bechi è stato esonerato e al suo posto si è seduto Giorgio Valli. Cambiare allenatore non è mai una scelta semplice perché vuol dire ripartire (quasi) da zero ma ciò di cui la squadra sembra aver bisogno è proprio una scossa. Personalmente reputo rivedibile la scelta di Valli e mi associo al pensiero di Daniele Labanti di Basketnet che analizza i numeri dell’allenatore modenese che nelle ultime tre esperienze ha collezionato un esonero, un terzultimo posto e una retrocessione. Credo che la scelta dell’allenatore debba essere tra quelle più oculate tanto ad inizio anno quanto a stagione in corso. Esempi di allenatori che vengono richiamati dopo essere stati esonerati se ne contano in quantità e non è escluso che anche a Bologna, sponda Virtus, questa storia non si ripeta. 

Arrivati a questo punto della stagione con una griglia playoff ancora da definire e molte squadre che ancora aspirano ad entrare tra le migliori 8 del campionato la Virtus non può non guardarsi dietro le spalle e preoccuparsi per un Charlie Recalcati che sta facendo miracoli a Montegranaro e una Vuelle Pesaro che sembra essere in crescita rispetto ad inizio anno. Valli dovrà fare gli straordinari in questo periodo e cercare di fare in modo che lo spogliatoio non si spezzi. Tenere in mano le redini della squadra sarà fondamentale per tentare una risalita che vedrà Bologna impegnata contro squadre di medio-bassa classifica e giocarsi anche degli scontri diretti per la permanenza nella massima serie.


Un episodio che ha fatto discutere e che è stato riportato sui media nazionali con un certo risalto è stato l’allenamento serale imposto da coach Valli alla squadra. Si narra che dopo una sessione pomeridiana in cui, a detta del coach, i giocatori non si sono impegnati abbastanza, Valli abbia mandato tutti a far la doccia per poi riconvocarli per un allenamento straordinario alle 21 che lo stesso coach ha reputato “il migliore della stagione”. I giocatori non sembrano essere dello stesso parere visto che Walsh, Hardy, Motum e Gaddefors hanno affidato a Twitter il loro pensiero che non è certo stato tenero. Fa sorridere anche la solidarietà espressa a distanza sempre attraverso il popolare social network da Ware che sembra non essere proprio dispiaciuto di non aver passato un paio d’ore in palestra con i gli ex compagni di squadra. Certo, Valli ci ha tenuto a precisare che se le cose che si provano in allenamento non vengono eseguite alla perfezione è giusto che le si riprovino finché non si arriva al risultato, ma siamo sicuri che sia questo il metodo giusto per spronare la squadra? 


Per concludere, Bologna è una piazza che al basket italiano e non solo ha dato molto ed è normale che i tifosi siano esigenti in nome di una tradizione che è giusto ricordare ma su cui non ci si può assolutamente crogiolare. Le Vu nere dovranno necessariamente cambiare passo e cercare di non perdere più quelle occasioni di portare a casa la vittoria che spesso si sono presentate ma che sono state inesorabilmente gettate al vento dopo partite combattute ma perse di pochi punti.

giovedì 20 marzo 2014

TOP & WORST NBA - EPISODE 19 (12/03 - 18/03)

Best of the East

Best Team: Atlanta Hawks


Guidati da un Kyle Korver da urlo, che sta tenendo un eFG% (statistica che considera il tiro da tre punti come 1.5 volte il tiro da due punti) del 64.8%, terzo nella storia NBA dietro Wilt Chamberlain ed Artis Gilmore ad avere una simile media, gli Hawks hanno ripreso a volare. Quattro vittorie consecutive, molto sofferte e contro team non certo trascendentali come Jazz, Bucks, Nuggets e Bobcats, ma utilissime a ricacciare indietro i fantasmi di essere ripresi proprio sul più bello e venire esclusi da ciò che fino a metà stagione sembrava il risultato minimo, i playoff. Atlanta si riavvicina ad un record accettabile (30-35) e tiene a debita distanza i Knicks (27-40), portandosi a sole tre vittorie da Charlotte che la precede (33-35). Paul Millsap (17.9 punti e 8.2 rimbalzi di media) e Jeff Teague (16 punti e 7 assist a partita), uniti alla precisione ritrovata di Korver da oltre l’arco, garantiscono talento e solidità a una squadra che vuole continuare a lottare per qualcosa di buono. Anche ottimo, se possibile.

Best Player: Al Jefferson

Vi stavate chiedendo perché i Bobcats in estate abbiano fatto di tutto per avere Jefferson a roster e, forse, l’abbiano anche strapagato? Semplice, perché il buon Al li sta portando dritti ai playoff. Escludendo l’ultima uscita di Charlotte, sconfitta in casa dagli Hawks, nelle quattro vittorie consecutive precedenti contro Nuggets, Wizards, Timberwolves e Bucks, il centro ex Jazz ha trascinato i suoi ad affermazioni sempre più convincenti e di livello grazie a prestazioni straordinarie, che gli sono valse il premio di miglior giocatore della Eastern Conference nella scorsa settimana. 24.3 punti con il 54.7% al tiro, 11.5 rimbalzi, 1.3 rubate e 1.3 stoppate oltre a un plus/minus di +6.5 di media non è davvero niente male. Charlotte, però, non deve permettersi di mollare adesso, sul più bello, mentre la lotta per la post-season sta entrando nel vivo. Jefferson sta tenendo medie vicine al suo career high (21.3 punti e 10.4 rimbalzi) con un PIE del 16.7%, tra i migliori per un centro nella Lega. Basta solo un ultimo sforzo, dai Al!

Best of the West

Best Team: San Antonio Spurs

E sono dieci. Gli Spurs non si fermano mai, non mollano mai, sono sempre lì. Favoriti dal ritorno sul parquet di Kawhi Leonard, che ha riportato il net rating di San Antonio da livelli miseri (0.1, quindicesima nella Lega) a livelli usuali per la squadra di Popovich (11.9, seconda nella Lega), i sempreverde texani hanno ripreso la loro marcia inarrestabile verso l’ennesimo primo posto in Western Conference. Il record (50-16) è il migliore di tutta la NBA, così come lo è quello in trasferta (24-8), così come lo è quello per il miglior gioco di squadra visto quest’anno. In settimana anche Trail Blazers, Lakers e Jazz si sono dovuti inchinare allo strapotere degli Spurs, che hanno vinto le tre sfide con un vantaggio oscillante tra i 13, inflitti a Portland, e i 34 punti, con cui è stata punita la squadra della City of Angels. Siamo per altro orgogliosi di sottolineare che il quinto miglior giocatore, almeno statisticamente parlando, di questo team è il nostro Marco Belinelli. Sarà lui a prendere l’eredità di Manu Ginobili? Sarebbe un sogno, in una squadra da sogno.

Best Player: Blake Griffin


Che stagione questa per Blake Griffin. L’ala dei Clippers, dopo essersi regalato la meravigliosa vittoria nel derby di settimana scorsa, cui è seguito il mostruoso 14/16 (87.5%) al tiro per 37 punti contro i Suns, has done it again negli ultimi sette giorni. Prima della sconfitta la scorsa notte contro Denver, che ha interrotto la serie di vittorie consecutive dei Clips a quota 11, Griffin ha tenuto, nelle quattro affermazioni precedenti, medie di 27 punti, 9.3 rimbalzi, 4.8 assist e 1.5 rubate a partita, il tutto tirando con il 54.4% dal campo. Se la situazione delle due squadre di Los Angeles quest’anno si è completamente ribaltata in favore di coloro che sono sempre stati i più deboli, i migliori ringraziamenti vanno proprio a Blake, che sta vivendo la sua miglior stagione in NBA (24.3 punti, 9.7 rimbalzi e 3.7 assist). La corsa al primo post si è leggermente arrestata con Denver (48-21), ma anche finire la regular season al terzo posto non sarebbe davvero niente male. Serve far bene anche ai playoff, però.

Best of the Rest

MONOCIGLIO IS THE WAY: Anthony Davis sta avendo una stagione difficilmente commentabile, in positivo ovviamente. 21.4 punti, 10.4 rimbalzi e 2.9 stoppate di media a partita, non proprio bruscolini per un ragazzo che ha appena compiuto 21 anni. Davis si è poi regalato una notte da sogno contro i Celtics, mettendo a segno il suo career high come punti (40 con 14/22 al tiro e 12/12 ai liberi) e rimbalzi (21, di cui 5 offensivi), risultando il quarto più giovane di sempre a far registrare un 40+20. Chapeau.


KD(OMINATING): contro i Bulls, Durant ha superato quota 25 punti per la 32esima partita consecutiva (meglio di lui solo sua maestà Jordan), oltre alla 40esima gara da trenta o più punti in questa stagione (il secondo? James a quota 23). I Thunder stanno avendo un breve periodo di sbandamento nell’ultimo periodo, ma se si confermano saldamente al secondo posto di Conference (49-18), dovrebbero erigere una statua al loro miglior giocatore. Migliore anche della Lega, quest’anno?


Worst of the East

Worst Team: Detroit Pistons

Il fatto che, senza battere squadre che hanno un record superiore al 50%, una squadra non possa permettersi nemmeno di sognare i playoff, dovrebbe essere una cosa risaputa. I Pistons di quest’anno, però, non sembrano averla compresa a pieno. Dal 12 febbraio a questa parte, dopo la breve striscia di tre successi consecutivi che aveva riacceso le speranze di playoff, Detroit ha vinto solamente tre partite contro Hawks, Knicks e Kings. Tutti successi che fanno morale e classifica certo, ma nessuna affermazione di rilievo, come è successo d’altronde per quasi tutto il resto della stagione. Per il resto 12 sconfitte, di cui le ultime due proprio in settimana contro due squadre in grande spolvero quest’anno come Pacers e Raptors, ma senza nemmeno arrivare a lottare davvero per la vittoria, come dimostrano rispettivamente i 14 e gli 8 punti di ritardo alla sirena. Con un record del genere (25-41), la post-season può restare un sogno nel cassetto anche per un roster spettacolare come quello della squadra di Motown. Non che si andrebbe molto lontano, comunque.

Worst Player: LeBron James

Tutte le statistiche usate nelle prossime righe dovranno essere confrontate solo e soltanto con le statistiche precedenti di LeBron James. Maneggiatele con cautela. Dopo i 61 punti del career high contro i Bobcats, il rendimento del Prescelto è calato e, con esso, anche i risultati per gli Heat. Sole due vittorie a fronte di ben cinque sconfitte per i due volte campioni in carica, con Spurs, Bulls, Nets e Nuggets che portano a casa un successo, mentre vengono sconfitti i Wizards e i Rockets si devono accontentare di una vittoria e una sconfitta nel periodo in questione. Per LeBron 20.7 punti, anche se per tre volte sotto la soglia dei 20, inusuale per lui, 5.8 rimbalzi (< 6.9 di media stagionale), 6.7 assist (meglio dei 6.5 di media), mai in doppia doppia e con 3.9 palle perse a partita. Il tutto tirando una sola volta oltre il 50% (nella vittoria sui Wizards per altro) e con 6/24 da tre punti. Se gli Heat (45-19) vogliono il primo posto dei Pacers (50-17) devono svegliarsi e in fretta. Guidati dal loro re.

Worst of the West

Worst Team: Phoenix Suns


Spiace dover ricorrere ancora ai Suns per scegliere la peggior squadra della Western Conference. Però, ormai, ciò che più interessa è la lotta per l’ottavo posto e Phoenix sta gradualmente calando verso il nono posto, che sarebbe una condanna forse troppo definitiva per una squadra che quest’anno ha stupito tutti e che ha dovuto rinunciare alla sua punta di diamante, Eric Bledsoe, per quasi tutta la stagione. Le vittorie contro Celtics e Raptors, in settimana, sono state accompagnate da altre due sconfitte evitabili e abbastanza nette contro Cavaliers (-9) e Nets (-13). Se i Mavericks (41-27) hanno vinto le ultime tre gare giocate e sembrano addirittura poter insidiare i Blazers per il quinto posto, mentre i Grizzlies (39-27) sono a quota 7-3 nelle ultime dieci uscite, Phoenix (38-29) viaggia a corrente alternata nelle ultime partite (5-5) e, soprattutto, in trasferta (16-16). Sapere che con un record di 0.567 in Eastern Conference si sarebbe a ridosso dei Raptors, terzi in graduatoria, fa malissimo al morale. Nulla, però, è ancora perduto.

Worst Player: Damian Lillard

Se una squadra non gira per il verso giusto il primo indiziato è, sempre, il suo miglior giocatore. Vista l’assenza di LaMarcus Aldridge ormai da una settimana, per il brutto momento che stanno attraversando i Blazers, è d’obbligo guardare a Lillard. Dopo le cinque vittorie consecutive a cavallo di febbraio e marzo, Portland ha subito nuovamente una seria battuta d’arresto, fatta di ben sei sconfitte a fronte di due vittorie su Hawks e Pelicans. Il record (43-24) non è più così rassicurante, almeno non per questa Western Conference, che vede ora Portland al quinto posto, tallonata da Warriors (42-26) e Mavs (41-27). Lillard, in questo periodo nero, ha tirato solo una volta oltre il 47%, in una gara fatta però di ben 7 palle perse come quella contro i Rockets, con un pessimo 18/53 da oltre l’arco e senza mai dare un apporto che si sia rivelato vincente di assistenze ai compagni (poco più di 5 a partita). I Blazers devono ritrovare il miglior Lillard se vogliono sperare in qualcosa di buono nei prossimi playoff.

Worst of the Rest

SIXERS SENZA VERGOGNA: della serie, una ogni tanto potreste anche vincerla. 15 vinte e 52 perse, 10-30 in una Conference “temibile” come la Eastern, 8-27 davanti al proprio pubblico, 7-25 in trasferta, 21 sconfitte consecutive, record negativo di sempre per la franchigia. Va bene avere a cuore il tank per assicurarsi uno dei primi posti per scegliere al prossimo Draft, ma così si rasenta davvero il ridicolo. E pensare che i Sixers potrebbero ancora andare ai playoff… è uno scherzo? No, è la Eastern Conference.



BOSTON AND THE FAR WEST: i Celtics perdono anche la loro ultima trasferta ad Ovest contro i Mavericks e chiudono con uno 0-15 on the road contro la Western Conference per la prima volta nella loro storia. Boston (22-47, con 8-25 in trasferta e 4-26 complessivo contro le squadre che non militano ad Est) potrebbe essere in piena corsa per i playoff, benché non sia l’obiettivo stagionale, se giocasse solamente contro le rivali della Eastern. Sarebbe troppo facile, però.

martedì 18 marzo 2014

TOP & (FLOP) DELLA STAGIONE NFL : ARIZONA CARDINALS

E' vero, i Cardinals non sono arrivati ai playoff. È anche vero, però, che chiunque in una Division che comprende coloro che si sono aggiudicati il titolo al recente Super Bowl, i Seahawks, oltre alla seconda squadra presente in finale di Conference, i 49ers, e a un team di tutto rispetto come i Rams, avrebbe gettato la spugna prima ancora di cominciare a lottare per qualcosa di grande. Sapete qual è stata la media di vittorie nei sette raggruppamenti che non siano la NFC West? 30,7 a Division. Sapete quante sono state le vittorie complessive per i team di NFC West? 42. Ecco perché il record di 10-6, che per altro in NFC North, così come in AFC da seconda wild card, sarebbe bastato a strappare un biglietto per la post-season, ha il sapore di un mezzo miracolo.


La sconfitta di misura all'esordio contro la più debole delle tre avversarie di Division, St. Louis, non è stato certo un toccasana per cominciare la stagione. Alla vittoria, frutto più di una difesa eccezionale che di un attacco ancora impreciso, sui Lions non è seguito niente di particolarmente buono. Anzi, la sconfitta contro i Saints è stata la più netta dell'intera annata (-24), con il numero minimo di punti segnati (7). Un successo poco convincente contro i Buccaneers, ancora senza vittorie al momento della sfida, ha anticipato invece la prima, vera affermazione di sostanza sui Panthers, che si accingevano a cominciare, proprio dalla sconfitta di Arizona, la loro striscia vincente. La sesta e settima week, che dovevano confermare i netti progressi visti contro Carolina, hanno invece tagliato le gambe ai sogni dei Cardinals, battuti nettamente (-12 in entrambe le uscite) dalle prime due forze di Conference, Seattle e San Francisco. Se i Seahawks avevano già lanciato una fuga che non si sarebbe mai arrestata, tanto in regular season, chiusa al primo posto in NFC, quanto in post-season, terminata con la vittoria finale, l'avversario vero e proprio su cui doveva puntare Arizona erano i Niners. Portata a termine metà della stagione con la vittoria sui Falcons, che li rialzava sul 4-4, i Cardinals erano però costretti a guardare col binocolo i californiani, a quota 6-2 e col vantaggio del primo scontro diretto. Tutto già finito?

Non proprio, perché Frisco perde due sfide consecutive dopo la bye week con Panthers e Saints e Arizona lancia la rimonta. Al successo su Atlanta seguono altre tre affermazioni consecutive. Dopo aver spezzato, forse definitivamente, le ali dei Texans in questa loro disastrata stagione, ecco il tranquillo successo sui Jaguars e la scoppola rifilata ai Colts, letteralmente schiacciati da un attacco finalmente fluido ed efficace e da una difesa al solito eccellente, con il punteggio di 40-11. La week 13 si apriva con il medesimo record di 7-4 per Cardinals e Niners, favoriti solo dal fattore scontro diretto. Peccato per loro che i vice-campioni in carica terminino la loro stagione con cinque successi consecutivi, di cui l'ultimo proprio con Arizona, a far evaporare definitivamente i sogni di gloria del team di Bruce Arians. Carson Palmer e compagni si fermano invece al cospetto degli scatenati Eagles di Nick Foles, demoliscono i Rams, superano i Titans in overtime con un field goal decivisivo di Jay Feely, utile per continuare a credere fino alla fine al sogno post-season, e si concedono il lusso di superare niente meno che Seattle, all'ultima sconfitta della sua annata prima del trionfo finale di New York. La sconfitta dell'ultima settimana contro i Niners, firmata da Phil Dawson a una manciata di secondi dal termine, chiude la stagione dei Cardinals prima che si entri nel vivo, a step short from the playoff.


Nell'analisi di squadra partiamo dall'assoluto punto di forza dei Cardinals versione 2013, la difesa. Pur finendo solo 29esimi a livello di tackles (953), balza agli occhi che ben 825 siano stati portati da uomini in solitaria, mentre solo 128 siano assisted. Il dato, a livello di squadra, non è esaltante, ma a livello di singoli rende loro onore. Pur avendo concesso poco più di 20 punti a partita (20.2) ed aver chiuso la stagione al 14esimo posto per quanto riguarda le yard concesse al lancio a partita (233 di media, 3.728 totali), in tutti gli altri dati statistici fondamentali Arizona è tra le primissime retroguardie in NFL. La straordinaria difesa sulle corse avversarie, nettamente la migliore, ha concesso sole 84.4 yard di media per 1.351 totali (3.7 yard ad attacco), forzando più fumble (6) di quanti touchdown abbia subito (5). Sesti per sack portati ai quarterback avversari (47.0 totali, di cui due generanti una safety), quinti per intercetti (20), che hanno fruttato 251 yard guadagnate e ben 4 touchdown, gli uomini della difesa dei Cardinals hanno sorpreso (quasi) tutti gli attacchi che si sono trovati di fronte. Leader della retroguardia è stato Karlos Dansby con 122 tackles (114+8, incredibile!), 6.5 sack, 19 pass deflected e 4 intercetti, di cui due riportati fino all'end zone avversaria. Patrick Peterson si è issato al livello dei migliori cornerback della Lega con 42 tackles, 13 pass deflected, 3 INT e si è regalato anche un lancio da 17 yard a segno. Leader nella statistica dei sack sono stati John Abraham (11.5 per 100 yard perse dagli avversari), che ha anche forzato quattro fumble degli avversari, e Calais Campbell (9), che invece ha recuperato due fumble, oltre ad averne forzato uno. Meritano menzione anche Yeremiah Bell (77 tackles, 9 pass deflected e 2 INT), Daryl Washington (75 tackles, 3 sack, 11 pass deflected e 2 INT) e Rashad Johnson (3 INT).

L'attacco ha visto un buon Palmer in cabina di regia. 362 completi su 572 lanci (63.3%) per un totale complessivo di 4.274 yard totali guadagnate (249.1 a partita) sono un ottimo dato, ma se abbinato a 24 TD pass e ben 22 INT (3.8% delle giocate), il tutto assume una valenza molto meno positiva. 41 sono stati i sack subiti, per 289 yard perse. I problemi sono evidenziati comunque da un quarterback rating abbastanza deficitario (83.9). Se non è strano che il peggior risultato in quanto a QB rating (43.4) sia arrivato contro i Saints nella peggiore sconfitta stagionale, sorprende come Palmer abbia potuto lanciare complessivamente per sole 353 yard, per altro con 2 TD pass e 7 INT, nelle due vittorie più prestigiose di Arizona in regular season contro Panthers e Seahawks.


La sorpresa dell'anno tra i receiver è stato Michael Floyd, che ha ricevuto 65 volte per 1.041 yard (16 di media), con cinque touchdown e nessuna palla persa. La conferma è stata, ovviamente, Larry Fitzgerald. Le 82 ricezioni per 954 yard, se non sono state certo il miglior risultato in carriera, hanno aggiunto altri dieci touchdown al ruolino del fenomenale ricevitore di Arizona, primo in ordine di età a raggiungere la soglia delle 11.000 passing yard in carriera. Molto più staccati tutti gli altri receiver a roster. Una delle più grandi perdite cui dovranno far fronte i Cardinals dalla prossima stagione è quella di Rashard Mendenhall, ritiratosi a soli 26 anni per dedicarsi a una vita fatta di viaggi e scrittura, come sognava da un po'. Il runningback, nella recente regular season, ha portato 687 yard alla causa con otto touchdown, anche se ha aggiunto quattro fumble totali, di cui tre persi, al suo totale. Nel suo anno da rookie, molto bene ha fatto Andre Ellington. I suoi 118 attacchi per 652 yard (5.5 di media), di cui 8 sopra le 20 yard, con tre touchdown a segno e senza fumble persi, si aggiungono alle 371 yard al lancio e al solo touchdown ricevuto dalle mani di Palmer. Davvero niente male come inizio nella Lega.


Cosa manca ai Cardinals per fare quello passo in più che potrebbe portarli ai playoff? Rilasciato Mendenhall per cause di forza maggiore, raggiunti degli accordi con il tight-end Jake Ballard e il kicker Jay Feely, due ottimi elementi a roster, Arizona ha acquisito due componenti fondamentali come l'offensive tackle Jared Veldheer e il wide receiver Ted Ginn, protagonista del'ottima stagione dei Panthers. Manca ancora un inserto di livello in offensive line e anche la scelta di un back-up quarterback da affiancare al non più giovanissimo Palmer potrebbe essere un'idea. Bruce Arians non può che essere stato confermato, vista la complessivamente ottima stagione d'esordio ai Cardinals. Sperando che Seahawks e 49ers mollino leggermente sul pedale dell'acceleratore nella prima annata, Arizona potrà dire la sua per il discorso playoff e poi giocarsela con tutte le altre senza paura. In fondo, basta solo one more step.

lunedì 17 marzo 2014

MILANO, NON PUOI DAVVERO FALLIRE!

Per chi non l’avesse ancora capito o aveva qualche dubbio (ma credo siano davvero in pochi) Milano è la prima candidata per la vittoria dello Scudetto. Una notizia scontata certo ma che col passare delle settimane diventa sempre più concreta dal momento che ad oggi l’Olimpia è la squadra che si trova in solitaria al comando della classifica di Serie A. Certo, saranno i playoff a decretare la vincitrice del trofeo ma non sembra esserci squadra che possa tenere il passo delle Scarpette Rosse che si trovano in un periodo di forma smagliante. Dovrà essere bravo coach Banchi a non disperdere le energie dei suoi giocatori e a fare in modo che la condizione fisica e psicologica ottima in cui si trova la squadra permanga fino alla fine dei playoff. I punti di vista da cui partire per analizzare il momento di Milano sono molti, vediamoli con ordine.


Il Roster

Scorrendo i nomi dei giocatori a disposizione di coach Banchi ci accorgiamo come ben 11 potrebbero essere i titolari di ogni altra squadra del nostro campionato. Keith Langford è senza dubbio la punta di diamante dell’Olimpia che continua a investire molto e ad affidarsi al ragazzo di Forth Worth, un talento purissimo che, se la serata è quella buona (e ne sono capitate parecchie soprattutto nell’ultimo periodo), è capace di decidere da solo le sorti della partita. Avendolo ammirato più di una volta da avversario posso con cognizione di causa dire che è uno di quei pochi giocatori che riesce a creare negli avversari e nei loro tifosi un senso di impotenza dal momento che i suoi tiri, da ogni posizione e con un grado di difficoltà anche elevato, finiscono in gran parte inesorabilmente in fondo alla retina. L’altro diamante in canotta rossa è Daniel Hackett, di cui molto si è già parlato. Il suo arrivo a Milano ha spostato gli equilibri di tutto il campionato, consegnando definitivamente all’Olimpia la palma di squadra favorita e facendo retrocedere di un passo tutte le aspiranti avversarie al titolo. Anche David Moss sta giocando una buona stagione e in particolare le sue doti difensive lo rendono un giocatore raro da trovare e soprattutto difficile da affrontare. Senza voler tessere le lodi di ogni giocatore dell’EA7 ci limiteremo a dire che la panchina è particolarmente lunga e che anche chi non è abitualmente nello starting five riesce comunque a dare il suo contributo entrando dalla panchina. Atleti come Kangur e gli italiani Gentile e Melli sono tutt’altro che dei rimpiazzi, sono anzi dei giocatori con delle qualità e delle caratteristiche fisiche e tecniche che li rendono temibili tanto in area quanto sul perimetro. Atleti di tutto rispetto che per lo stipendio ricevuto non potrebbero trovare tutti insieme collocazione in un’altra squadra della nostra massima serie.


L’Europa

Non varrebbe la pena spendere così tanti soldi per costruire una realtà che può vincere lo Scudetto se dietro non ci fosse il discorso legato all’Eurolega. L’Olimpia è tra le squadre italiane una di quelle che partecipa di diritto alla massima competizione europea grazie alla licenza A (l’altra è Siena); dopo anni in cui è stata la Montepaschi la squadra su cui l’Italia puntava maggiormente per fare bella figura ora il testimone è passato ai meneghini. Dopo aver superato il girone di qualificazione con più di un brivido, nelle Top 16 che si stanno ancora disputando l’Olimpia si sta comportando egregiamente e vede avvicinarsi sempre di più l’obiettivo secondo posto nel girone. Quello per cui  Langford e compagni combattono è arrivare alle Final Four che quest’anno si disputeranno al Mediolanum Forum di Milano dal 16 al 18 maggio. Arrivare in fondo alla massima competizione europea sarebbe un grande traguardo per l’Olimpia che, nella sua storia, ha vinto per tre volte la competizione (1966, 1987, 1988), seconda in Italia solo a Varese che l’ha vinta per 5 edizioni. Dire che Milano sia la favorita anche per l’Eurolega è un azzardo bello e buono ma le vittorie ottenute in particolare contro Olympiacos e Panathinaikos fanno ben sperare i tifosi milanesi che tornerebbero volentieri ad esultare per un trofeo che manca in bacheca da troppi anni.

Il Coach

La scorsa stagione è stata quella della consacrazione di Luca Banchi, 49enne allenatore grossetano al primo anno alla guida dell’EA7. L’annata appena trascorsa a Siena, la prima da capo allenatore dopo aver ricoperto per 6 anni il ruolo del vice, è riuscito a vincere subito il campionato e la Coppa Italia grazie sì ad uno squadrone, ma da soli i giocatori non bastano e l’esempio di Scariolo a Milano è quello che forse chiarifica questo concetto più di tutti gli altri. Le sue vittorie immediate e la grande considerazione in cui è tenuto in ambito federale (è assistente di Pianigiani in Nazionale dal 2009) hanno fatto sì che il Presidente Proli e il GM Portaluppi puntassero su di lui per provare a vincere in Italia. La squadra, come già detto, non ha potenzialmente rivali in Italia e anche in Europa riesce a farsi rispettare ma l’impronta di Banchi è ben visibile nel gioco sviluppato dall’Olimpia e la grinta che dimostra in panchina sembra spesso essere trasmessa a chi sta in campo. Se Banchi riportasse Milano sul gradino più alto del podio dopo 18 anni di astinenza, scriverebbe il suo nome negli annali della società ma quello che conta di più è che potrebbe aprire un ciclo che, come detto già da molti addetti ai lavori, farebbe di Milano la “nuova Siena”.


In Conclusione

Milano deve vincere. Ormai non ci sono più alibi, ammesso che ce ne fossero nelle ultime due stagioni. Tutto fa presupporre che il tricolore la prossima stagione sarà cucito sul fondo rosso delle divise griffate Armani. Nessuna squadra, in particolare nei playoff, quando si gioca al meglio delle 7 partite, può contrastare Milano che ha delle potenzialità tecniche, fisiche e individuali che sono riscontrabili solo in poche altre squadre nel panorama europeo. Personalmente sarei sorpreso se l’EA7 non vincesse lo Scudetto dal momento che l’essere eliminata al primo turno di Coppa Italia (su partita secca comunque) credo abbia fatto riflettere i giocatori su cosa voglia dire che “è quando il gioco si fa duro che i duri iniziano a giocare”.

domenica 16 marzo 2014

TOP AND WORST: FREE-AGENCY EDITION

Martedì sera, orario italiano, è stato come se per tutti i fan della NFL fosse cominciato il capodanno cinese. La free-agency nelle sue primissime ore aveva già sparato botti clamorosi e proiettato l’euforia dei tifosi alle stelle. Questa settimana è stata caratterizzata da moltissimi movimenti, alcuni azzeccati e altri meno. Vediamo un po’ chi sono stati i migliori, i bravi e i peggiori.

THE BEST

Denver Broncos: John Elway sa che l’anno prossimo sarà l’ultima possibilità per Manning di portare a casa il titolo e ben conscio della lezione impartitagli al Super Bowl per mano dei Seahawks ha ben deciso di spendere i suoi soldi in difesa. Sono arrivati, nel giro di due giorni, T.J Ward, Aqib Talib e DeMarcus Ware, tre giocatori che garantiranno un upgrade notevole. Ware opposto a Miller sarà un incubo per le difese avversarie, mentre Ward e Talib rinforzano un secondario che è stato uno dei punti deboli della franchigia del Colorado. Ward è un hitter che farà sentire la sua presenza a chiunque si avvicinerà alla sua zona, Talib ha avuto qualche problemino fisico negli ultimi anni, ma ha il fisico e l’abilità per marcare anche i tight end più grossi. Ciliegina sulla torta, nella giornata di ieri hanno firmato Emmanuel Sanders, che renderà ancora più pericoloso l’attacco. E’ difficile non pronosticare i Broncos come i favoriti al prossimo Super Bowl, ma la NFL non si vince a marzo.



Patriots' secondary: Nello scorso AFC Championship l’attacco aereo di Peyton Manning ha abusato a piacimento del secondario dei Patriots e Bill Belichik sa bene che per tornare competitivi doveva innestare uomini di sicuro rendimento in difesa. Dopo aver lasciato sfogare i Broncos ha convinto Darrelle Revis e Brandon Browner a vestirsi di grigio-blu. Entrambi sono veterani di sicura affidabilità e porteranno leadership in un reparto giovane. Revis inoltre è ancora forse, il miglior cornerback in man to man coverage. Se garantiranno le giuste armi a Brady i Patriots torneranno di diritto tra le favorite per il titolo.

Jaryus Bird: Era il giocatore più cercato e ha scelto la squadra che può dargli più possibilità di mettersi in mostra. Bird, safety 27enne, ha firmato per sei anni a 56 milioni di dollari con la franchigia della Louisiana ed insieme al promettente Kenny Vaccaro formerà un duo che terrorizzerà gli attacchi avversari. Rob Ryan ha fatto un miracolo rivitalizzando una difesa finita nel fango del bounty scandal e ora, con l’aggiunta di Byrd, aggiunge un tassello importante per poter rendere il suo reparto ancora più aggressivo ed efficiente. 



THE GOOD

Indianapolis Colts: Ogni anno che passa da quando Andrew Luck è arrivato nella lega, i Colts si avvicinano sempre di più al Super Bowl e in questa free-agency hanno fatto un passo ulteriore. In attacco hanno aggiunto Hakeem Nicks offrendogli un anno di contratto a 3.5 milioni, un affare a basso rischio, ma che può risultare un grande steal. Nicks è un talentuoso ricevitore che se tornerà sui livelli di due anni fa diventerà il target più completo di Luck. In difesa hanno rifirmato Vontae Davis, hanno aggiunto il veterano D’Qwell Jackson in mezzo al campo e il promettente Art Jones, defensive end che garantirà una solida difesa contro le corse, grosso problema l’anno scorso, e maggior pressione dall’interno al quarterback avversario.

Falcons' lines: Il talento in Georgia non manca, ma non c’erano uomini affidabili nelle linee. Il front office dei Falcons ha operato per colmare le lacune portando uomini esperti e con grande esperienza. In linea offensiva è arrivato Jon Asamoah mentre in linea difensiva sono arrivati Tyson Jackson e Paul Soliai. Nessuno dei tre è un fenomeno, ma sono giocatori nel pieno della maturità agonistica, buoni starter e con un rendimento costante. Forse sono stati pagati più del loro reale valore, ma non si può negare che i Falcons abbiano rafforzato le loro linee.

Steve “Angry Bird” Smith: Essere tagliato dalla franchigia per cui si è giocato da quando si è entrati nella lega lascia l’amaro in bocca, ma Steve Smith è sempre stato un giocatore tosto e non si è lasciato scoraggiare. Il primo giorno dopo essere stato liberato ha visitato i Ravens e ha deciso che quella sarebbe stata la sua casa per i prossimi tre anni. Smith sarà la chioccia di un reparto ricevitori molto giovane con alte promesse e sarà quel giocatore da terzo down di cui i Ravens avevano tanto bisogno. Inoltre sarà uno dei leader dello spogliatoio e potrà provare di essere ancora un giocatore decisivo, specialmente contro i Panthers.  



THE WORST

Kansas City Chiefs: Sono stati la sorpresa del 2013, ma si apprestano a vivere un 2014 con molte incognite. In pochi giorni hanno perso un ritornatore pericoloso come Dexter McCluster, il defensive end Tyson Jackson e ben tre uomini di linea importanti come Brandon Albert, Jon Asamoah e Geoff Schwartz. Cinque titolari per cui i Chiefs non hanno fatto nemmeno uno sforzo per farli vestire ancora in rosso. Sono soprattutto le perdite sulla linea a preoccupare, dato anche il balbettante esordio della prima scelta assoluta del 2013 Eric Fisher. 
Oakland Raiders: È difficile fare peggio di quanto abbia fatto il general manager Reggie McKenzie. Avevano più spazio salariale di qualsiasi altra squadra, ben 60 milioni, e non hanno avuto un minimo di strategia. Hanno lasciato andar via due dei migliori giocatori a roster, giovani e promettenti tra l’altro, come Lamarr Houston e Jared Veldheer senza nemmeno fare un offerta o applicare ad uno dei due il franchise tag. Hanno pensato di sostituire il loro left tackle strapagando Roger Saffold, giocatore propenso agli infortuni e che il meglio lo ha dato da guardia, per poi scoprire che doveva essere operato alla spalla e quindi rispedito ai Rams. Non bastano le firme di veterani come Justin Tuck per risorgere dalle ceneri, ci vuole un progetto solido e a lungo termine per far tornare i Raiders ai fasti degni della loro storia. E il primo passo è mandare a casa McKenzie.  


Running backs: Doveva essere un lotto ricco con giocatori importanti e molte richieste, ma prima del sesto giorno non si è mosso niente e alcuni grandi nomi devono ancora accasarsi. Knowshon Moreno e LaGarette Blount sono ancora senza squadra, ma soprattutto senza richieste. Solamente ieri Ben Tate ha firmato coi Browns per due anni a 7 milioni e Darren McFadden non ha nemmeno esplorato il mercato scegliendo nuovamente i Raiders per 4 milioni. Lo scarso interesse mostrato dalle franchigie rivela l’importanza sempre minore che i running back stanno assumendo in una lega sempre più proiettata al passing game e i contratti da essi firmati sono lontani anni luce dai soldi che ricevono wide receiver o cornerback. Forse non hanno più appeal, ma avere un buon running back può ancora fare la differenza.