Best
of the East
Best
Team: Indiana Pacers
Alla
fine dei giochi, i migliori sono stati i Pacers. Almeno ad Est, dopo
aver a lungo accarezzato l’idea di chiudere la stagione con il
miglior record della Lega. Dopo le cinque vittorie consecutive a
cavallo di febbraio e marzo, un periodo nerissimo nell’ultimo
quarto di stagione (10-13) ha reso complicatissima anche la questione
riguardo la vetta nella Eastern, risoltasi nel finale anche a causa
dei non encomiabili Heat di quest’anno. Che sia stato l’inizio
devastante ad averli fatti adagiare sugli allori o un po’ di
pre-tattica in vista della comunque durissima post-season, Indiana
nell’ultimo periodo ha dato segnali tutt’altro che incoraggianti.
Essere rimasta la prima forza di Conference è sicuramente una
fondamentale iniezione di fiducia per tutti. A partire da Paul George
(21.7 punti, 6.8 rimbalzi, 3.5 assist di media), per distacco il
migliore dei suoi, passando per Lance Stephenson, tra i papabili nomi
per il Most Improved Player of the Year, e Roy Hibbert, tra i
migliori difensori in NBA, fino a nuovi arrivati Andrew Bynum ed Evan
Turner. C’è tutto per arrivare fino in fondo e prendersi
l’agoniato anello. Basta uscire dal tunnel.
Best
Player: Joakim Noah
Dopo
l’ennesimo infortunio occorso a Derrick Rose, Chicago sembrava alla
deriva, spacciata. Ha chiuso quarta, a pari record con i Raptors
terzi, e dando l’impressione di non soffrire a livelli catastrofici
l’assenza del suo uomo migliore. Questo perché il suo centro ha
giocato un basket di livello devastante a tutto campo, con risultati
mai visti. Contro i T-Wolves ha messo a segno la sua quarta
tripla-doppia dell’anno, dato fatto segnare solo da Michael Jordan
e Scottie Pippen per i Bulls, settima in carriera, dietro solo ai due
appena citati nella storia della Città del Vento, e ha superato
quota 397 assist, record di franchigia per un centro in regular
season, che apparteneva a Tom Boerwinkle da oltre 40 anni. Le sue
statistiche parlano per lui: 12.6 punti, 11.3 rimbalzi e 5.4 assist.
Non solo, ma anche una difesa eccezionale, che ha concesso solo 97.7
punti ogni 100 possessi avversari con lui sul parquet e ha reso i
Bulls la seconda miglior retroguardia della Lega dopo i Pacers. E
anche un’intensità e una voglia di vincere da campione vero. Come
si è dimostrato, quest’anno, Joakim Noah.
Best
of the West
Best
Team: Los Angeles Clippers
E’
vero che gli Spurs hanno fatto segnare un’altra stagione
straordinaria, finendo col portare a casa il miglior record della
Lega. Sono questi Clippers, però, la vera sorpresa dell’anno. Il
record di franchigia di 57 vittorie è già un ottimo motivo per
inserirli tra le migliori. Il fatto di essere arrivati a un solo
passo e mezzo dal secondo posto in una Conference terribile come la
Western di quest’anno ne è la conferma. Nessun record negativo per
quella che è stata, fino a quest’anno, la parte “sfortunata”
di Los Angeles. Anzi: 36-16 contro le avversarie ad Ovest, 12-4
contro quelle di Division, 34-7 tra le mura amiche, 23-18 lontano da
casa, 3-1 nei derby contro i Lakers (con un +48 pauroso tra le
altre). Miglior attacco della Lega (108 punti di media), terza
miglior squadra per numero di assistenze a partita (24.6). Uno dei
playmaker più forti nel lotto, Chris Paul (19.1 punti, 10.7 assist
di media), una neonata stella assoluta, non più solo in acrobazie
volanti, Blake Griffin (24.1 punti, 9.5 rimbalzi), e il miglior
rimbalzista e terzo miglior stoppatore della Lega, DeAndre Jordan
(13.6 rimbalzi e 2.5 stoppate). Serve altro per vincere?
Best
Player: Kevin Durant
Se
per ogni altro premio individuale da assegnare quest’anno i dubbi
restano e sono tanti, il Most Valuable Player NBA versione 2013/14 ha
già un nome e un cognome: Kevin Durant. L’aveva dichiarato ad
inizio anno di volersi togliere al più presto l’etichetta di
“secondo” dietro LeBron e non ha perso tempo: miglior marcatore
della Lega, a quota 32 punti di media, per altro con il 50% dal campo
e il 39% da oltre l’arco, ma anche 7.4 rimbalzi, 5.5 assist e 1.3
rubate a partita. Russell Westbrook è rimasto ai box per metà
regular season, ma nessun problema: 59 vittorie e 23 sconfitte
valgono il secondo posto, molto sofferto ma meritatissimo, in Western
Conference. KD ha segnato più di 25 punti per 41 gare consecutive,
battendo il mito Michael Jordan per la striscia più lunga nel
recente passato, ha il maggior numero di punti ogni 100 possessi
(40.2, quattro più di LBJ) e ha il miglior PIE della Lega, che ne
dimostra l’efficienza assoluta in ogni aspetto del suo gioco
(20.6%). Soprattutto, però, ha dato, per la prima volta
inequivocabilmente, la sensazione di essere il più forte. Servirà
confermarla nei playoff.
Best
of the Rest
SWEET
SIXTEEN (first half):
Pacers dominatori dal trono traballante, Heat bi-campioni dal dominio
ancora più instabile, Raptors straordinari e razionali protagonisti
nella giungla, Bulls allenati magistralmente e mai domi, Wizards
sulle ali dell’entusiasmo e della beata gioventù, Nets roventi dal
Capodanno in avanti, Bobcats alla rivincita della vita con un
Jefferson guru e Hawks più fortunati (per non usare termini volgari)
che altro. Eccole, le “magnifiche” otto ad Est.
SWEET
SIXTEEN (second half):
Spurs senza età e senza limiti, Thunder in mano a una leggenda in
procinto di nascere, Clippers temerari e talentuosi come non mai,
Rockets e il fattore H pronto a esplodere, Blazers stanchi ma pronti
a sfidare ogni sfortuna, Warriors per sorprendere tutti e andare fino
in fondo, Grizzlies pronti a chiudersi come una cassaforte e
Mavericks alle ultime Wunder-Dirk-possibilities. Eccole, le (vere)
magnifiche otto ad Ovest.
Worst
of the East
Worst
Team: New York Knicks
Il
disastro più totale. Le scelte di quest’estate, a partire dal
confermare Mike Woodson in panchina, si sono dimostrate tutt’altro
che atte al salto di qualità. Metta World Peace è già un ex
giocatore e Andrea Bargnani ha dato ragione a chi l’ha sempre
criticato, terminando la sua stagione con un infortunio tanto comico
quanto esplicativo del periodo che attraversa. Carmelo Anthony è un
attaccante pazzesco, secondo miglior marcatore della Lega, e ha messo
sul parquet impegno e devozione, anche se non si è dimostrato il
leader che tutti si aspettavano e a ha steccato alcune partite
fondamentali. J.R. Smith si è eclissato e ha giocato tre quarti di
stagione all’ombra di sé stesso, salvo svegliarsi nel finale,
quando, però, buona parte del disastro era già stato fatto. Iman
Shumpert non è cresciuto di una virgola rispetto allo scorso anno e
Tyson Chandler è alle prese con guai fisici continui che lo
allontanano dall’essere dominante come qualche stagione fa. C’è
da rivoluzionare tutto, dalle fondamenta. Con un Maestro Zen al
comando sarà tutto più semplice.
Worst
Player: Josh Smith
Doveva
essere la stagione della svolta per la sua carriera. Doveva essere la
stagione in cui J-Smoove avrebbe preso per mano i giovani e
spericolati Pistons, certamente più ricchi di talento degli Hawks
che aveva appena lasciato, e li avrebbe guidati verso traguardi
importanti. L’undicesimo posto nella già di per sé derelitta
Eastern Conference a quota 29 vittorie e 53 sconfitte vi sembra tale?
Smith, invece, non si è integrato, come Motown sperava, con Andre
Drummond e Greg Monroe. Punti, rimbalzi, assist e stoppate non solo
sono inferiori alla passata stagione, ma non sono degni di quello che
è il primo tenore dell’orchestra Pistons. Non solo mere
statistiche però, anche la precisione è calata in maniera vistosa,
tanto dal campo (46.5% > 41.9%), quanto da oltre l’arco (30.3% >
26.4%), prendendosi quasi tre tiri in più rispetto alla media in
carriera. Ricordate grandi prestazioni di Smith quest’anno? Di
giocate decisive o vittorie esaltanti? No, o almeno non così tante
come ci si attendeva. Certo non si può imputare solo a lui la colpa
della disastrosa stagione dei Pistons, ma Detroit lo avrebbe già
messo alla porta. Casualità?
Worst
of the West
Worst
Team: Denver Nuggets
Ma
i Nuggets non erano quelli che lo scorso anno hanno perso solo tre
partite al Pepsi Center in tutta la stagione? Che hanno finito terzi
in Western Conference, prima di compiere un pasticcio ai playoff?
Presenti, ma, almeno per quest’anno, assenti. Solo il record tra le
mura amiche, seppur notevolmente peggiorato (22-18), è rimasto
positivo, mentre, per il resto, Denver ha deluso le attese e ha
chiuso undicesima ad Ovest, ben al di sotto del 50% di score (36-45).
L’assenza in difesa e in termini di esplosività e corsa di Andre
Iguodala si è fatta sentire non poco, così come quella realizzativa
e di sostanza del nostro Danilo Gallinari, rimasto ai box per tutta
la stagione dopo il grave infortunio dello scorso anno. Il solo Ty
Lawson non è riuscito nell’impresa, aiutato, ma solo a metà, da
un discontinuo per quanto estroso Kenneth Faried. Con la partenza di
Kosta Koufos e l’infortunio di JaVale McGee è mancato anche
qualcosa sotto canestro. Insomma, questi Nuggets hanno dato la seria
impressione di essere incompleti. Bisognerà trovare il pezzo
mancante entro la prossima stagione.
Worst
Player: Ricky Rubio
Finalmente
una stagione senza infortuni o problemi fisici, una stagione con 82
gare giocate per gustarsi tutto il meglio di Ricky Rubio… non è
andata proprio come si sperava. Il playmaker spagnolo, dopo aver
incantato tutti, con giocate funamboliche e fuori dal comune,
all’esordio nella Lega, quest’anno ha deluso le attese. E con lui
anche i T-Wolves, attesi a una stagione sorprendente che si potesse
chiudere tra le prime otto. Si sarebbe potuto punire benissimo
l’intero collettivo, ma in fondo Minnesota è stata tradita, in
davvero troppe troppe occasioni, nelle ultime azioni, quando
bisognava trovare il passaggio giusto e il tiro della vittoria. Rubio
non ha sbloccato quasi nessuna di queste situazioni, anzi molte volte
le ha complicate. Le statistiche lo vedono sotto i canonici 10 di
riferimento sia in termini di punti (9.5 a partita), sia in termini
di assist (8.6 a partita). Ma è mancata soprattutto l’esplosività
e l’estro che si erano visti da quando aveva messo piede in NBA.
Peccato, perché l’occasione era di quelle da prendere al volo.
Worst
of the Rest
BITTER
SIXTEEN (first half):
Knicks disorganizzati e senza meta, Cavaliers immaturi in attesa di
un messia, Pistons dal giovane e scellerato talento, Celtics in
attesa di ricostruzione guardando al passato, Magic dalla fin troppo
accesa nostalgia di casa, Sixers ridicoli e così lontani dal vicino
Iverson, Bucks francamente incommentabili. Urge qualcosa di forte per
queste otto, che sia un’iniezione di fiducia o un’iniezione dal
Draft.
BITTER
SIXTEEN (second half):
Suns da lodare un solo passo fuori dal Paradiso, Timberwolves
spreconi e senza un leader, Nuggets dalle troppe mancanze di peso e
livello, Pelicans nuovi nel look ma vecchi nello stile, Kings con
troppi pochi principi a concorrere da re, Lakers in attesa di
ricostruzione guardando al passato e Jazz senza alcuna musica o
sinfonia soave. Consideriamo che due di queste avrebbero fatto i
playoff se fossero state ad Est. Enough said.
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