Wolfgang
Amadeus Mozart è stato un genio musicale assoluto, portato via dal suo talento
e dalla straordinaria abilità con cui componeva solo dalla morte in giovane
età. Drazen Petrovic era un genio della palla a spicchi, che componeva la sua
personale e meravigliosa melodia sui parquet e ha dovuto abbandonare i campi da
basket solo per colpa di un incidente stradale, che ci ha tolto le sue magie a
soli 28 anni. Drazen veniva soprannominato in Europa “il Mozart dei canestri”,
in onore alla memoria e alle imprese del celebre compositore ma anche, e
soprattutto, in onore alle sue capacità fuori dal comune, assolutamente
incredibili.
Quand'ero
piccolo, mio fratello, che di basket conosce solo i rudimenti, ma è stato il mio
primo insegnante di storia con le sue personalissime idee, mi raccontava di
come fosse stato in Croazia e di come l'eco dell'indipendenza, raggiunta nel
1992, fosse ancora vivissimo per le strade e tra le persone che l'avevano
vissuta sulle loro pelli. Ecco, avevo poco più di 10 anni quando mi donò un
francobollo per commemorare il decimo anniversario della morte di Drazen Petrovic.
Lui, che non so nemmeno se sappia dove ha giocato il Mozart del basket europeo,
mi ha fatto questo regalo perché, a suo parere, Drazen è stato un idolo, un
simbolo, un eroe dell'indipendenza croata, pur non avendovi partecipato
attivamente. Tutto il Paese, devastato dal terrore e dagli orrori della guerra,
si stringeva intorno alle imprese sportive di questo ragazzo che, allo stesso
tempo, si stringeva, cercando di esserne una guida spirituale e di non abbandonare
mai le sue origini, intorno a tutto il Paese.
Petrovic, dopo
aver mosso i primi passi nel Sibenik, resta in Croazia, ancora però da chiamare
Jugoslavia, nel Cibona, una piccola squadra al confronto con le grandi slave ed
europee. Oggi il Cibona Zagabria è dominatore tra le vie di casa ma in Europa difficilmente
supera i primi turni. Ecco, Drazen trovò la sua squadra anche più malandata dei
nostri tempi (0-10 nelle coppe europee prima del suo arrivo) e la portò a
vincere 1 scudetto, con 43.3 punti di media, e addirittura 2 Coppe dei
Campioni, in finale contro Real Madrid e Zalgiris Kaunas. Trasferitosi poi ai
blancos, scrisse pagine memorabili e record ancora imbattuti nell'unico anno
sui parquet spagnoli, culminate con la vittoria nella Coppa del Rey contro il
Barcellona e con la leggendaria prestazione in finale di Coppa delle Coppe,
tolta alla Snaidero Caserta, condita da 62 punti.
Giunto in NBA 3
anni dopo il 1986, quando i Trail Blazers lo scelsero con la 50° chiamata, a
soli 21 anni e senza che avesse ancora dimostrato il suo strapotere sui campi
da gioco europei, Drazen non si adatta subito oltreoceano. Anzi, Portland
sembra proprio la destinazione meno adatta per lui, chiuso dal futuro hall of
hamer Clyde Dexter e da Terry Porter, che lo relegano a terza scelta nel ruolo
di guardia tiratrice, per un totale di circa 12 minuti a partita, i quali
diventeranno poi 7 nella seconda metà stagione nell'Oregon. Petrovic provò comunque
a dimostrare il suo talento, ma, nonostante un'etica del lavoro ferrea e una
costanza di rendimento ammirevole, in lui la frustrazione si trasformò in un
vero e proprio incubo, non aiutato anche dalle terribili vicissitudini che
colpiscono il suo Paese natale e la gente a lui più cara.
Ecco però che,
quel talento cristallino e assoluto, il quale con la nazionale jugoslava gli
era valso un oro all'Europeo del 1989 in casa, un oro al Mondiale del 1990 e
varie altre medaglie d'argento o di bronzo, oltre che uno straordinario titolo
di MVP nel Mondiale spagnolo del 1986 (in cui la Jugoslavia vinse il
bronzo), dove aveva regnato sovrano anche sopra gli inarrivabili americani,
esplose anche nella NBA. Trasferitosi ai New Jersey Nets tramite uno scambio,
Petrovic è ancora sull'orlo di una crisi di nervi. Vuole tornare a casa, tra le
sue strade, per ritrovare la sua famiglia e i suoi amici, i suoi affetti più
cari e, nel frattempo, ritrovare la passione per la sua ragione di vita: il
basket, che aveva perso nella sua permanenza negli States. Rick Carlisle, head
coach dei Nets, e Tom Newell, suo assistente, lo convincono però che la scelta
giusta sia restare, allenarsi, combattere per diventare un campione assoluto.
La sua
dedizione totale al lavoro, che lo portava sempre per primo in palestra e
sempre per ultimo a lasciarla, allenamenti fatti di centinaia di tiri provati e
riprovati, una difesa sistemata col tempo agli schemi di gioco dei parquet a
stelle e strisce e un tiro incredibile, mai visto nelle mani di un europeo e
difficilmente rintracciabile pure tra i fenomeni americani, riportano il Mozart
dei canestri a essere un campione assoluto. Nella prima metà di stagione nel
Jersey alza le sue medie a quasi 13 punti a partita in 20 minuti d'impiego ed
esplode la stagione successiva mettendone 20.6 a notte in quasi 37
minuti di gioco, con il 51% dal campo, portando i Nets a 14 vittorie in più
dell'anno precedente e ai playoff, perdendo però il primo turno contro i Cavs.
La stagione successiva è anche migliore della precedente, con 22.3 punti di
media, un incredibile 45% da 3 punti unito al 52% dal campo. L'esclusione
dall'All Star Game fu a dir poco contestata, sembrò quasi incredibile che un
giocatore con le sue doti fosse escluso dalla competizione che riuniva i
migliori giocatori della Lega, di cui certamente Petro faceva parte.
Dopo
l'eliminazione ai playoff ancora per mano di Cleveland al primo turno, però,
Drazen venne inserito nel 3° quintetto NBA. Può sembrare una magra
soddisfazione, ma in quegli anni il basket americano era ai suoi vertici storici
per varietà e qualità di numerose sue componenti, con giocatori come Jordan, Olajuwon,
Malone, Barkley e molti altri. Unico europeo a farne parte, il croato stava
entrando di diritto nel novero dei migliori giocatori al mondo. Con la maglia
della sua nazionale, la
Croazia, che nel frattempo era diventata indipendente dalla
Jugoslavia, Petro stava giocando una partita di qualificazione in Polonia,
l'estate seguente, e decise di tornare in Croazia con la fidanzata in macchina,
senza seguire i compagni in aereo. Fu la decisione che mise fine al mito di
Drazen Petrovic.
Il 7 giugno 1993,
un giorno di pioggia, su un'autostrada tedesca, si diede l'addio al più grande
giocatore che la Croazia,
ma più in generale il mondo slavo, abbia mai portato sul parquet. A soli 28
anni Drazen morì in un incidente stradale, lasciando un vuoto incolmabile nel
basket e nel mondo della sua giovane nazione, di cui era simbolo. I New Jersey
Nets ritirarono subito la sua maglia con il numero 3, la Croazia ne fece un eroe
nazionale, commemorando il 7 giugno come giorno di lutto nazionale, nominando
lo stadio del Cibona a suo nome e aprendo un museo dedicato alle sue imprese.
Le sue gesta sono diventate leggenda.
Nessuno saprà
mai dire cosa e quanto avrebbe vinto ancora Drazen Petrovic nella sua carriera,
quanti e quali record avrebbe potuto scrivere con le sue statistiche
incredibili e il suo tiro da 3 ancor oggi tra i migliori mai visti al mondo.
Nessuno saprà mai dire se avrebbe vinto un anello, magari lontano dai Nets da
cui voleva separarsi, se sarebbe tornato in Europa a dominare come aveva già
fatto lungamente, se avrebbe mai fatto pace con il suo once brother Vlade
Divac, amico e compagno di molte battaglie con la maglia jugoslava e sui
parquet NBA ma che si era diviso da lui in quanto serbo a causa della guerra
d'indipendenza. Sicuramente, Petro avrebbe sempre lottato fino all'ultimo, per
la sua causa come per quella della sua squadra, del suo popolo, del mondo.
Sicuramente, Petro avrebbe portato in alto il suo nome così come quello della
sua squadra, della sua nazionale. Sicuramente, Petro è stato, è e sarà un
eroe ricordato da tutti, tanto negli Stati Uniti quanto nella sua Croazia.
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