lunedì 2 dicembre 2013

DAL TETTO DEL MONDO UNDER 15, INTERVISTA A... DODO RUSCONI !

Ha vinto da giocatore 6 Campionati italiani, 4 Coppe dei Campioni, 2 Coppe Intercontinentali, 4 Coppe Italia e, da allenatore, 1 Coppa delle Coppe e per 2 volte ha ottenuto una promozione in A1. Basta il suo palmarès per capire quale peso Dodo Rusconi abbia avuto nel basket italiano. Nato a Varese nel ’46, cresce nelle squadre giovanili della sua città e nel 1967 esordisce in Serie A nella grande Ignis Varese, nella quale rimarrà fino al 1975 per poi tornare, dopo una stagione alla Fortitudo Bologna e una all’Athletic Genova, nel ’77 e disputare altri 2 campionati. Per il campionato successivo viene scelto come coach, tanto per cambiare, ai piedi del Sacro Monte. Negli anni siede esclusivamente su panchine lombarde e Toscane: Varese (unico allenatore chiamato 3 volte), Vigevano, Pavia, Pistoia, Livorno, Siena (fanno eccezione solo Bologna e Borgomanero). Dopo un periodo di inattività ha deciso di darsi al basket giovanile e dalla stagione 2012-2013 allena i ragazzi dell’Under 15 della Pallacanestro Albizzate.


Lei ha un palmarès ricchissimo, nella leggendaria Ignis ha vinto tutto ciò che si poteva vincere. Quella squadra, al di là della propria fede cestistica, era un rullo compressore in Italia e in Europa. C’è un segreto che vi ha portato a stare ai vertici per tutti quegli anni? Pensa che qualche squadra oggi potrebbe emularvi?
No, oggi non c’è nessuno che potrebbe ripetere quello che abbiamo fatto noi. Abbiamo dominato nel mondo vincendo anche 2 Intercontinentali. È cambiato il tempo, sono cambiate le società. Il nostro segreto, se vogliamo, era il gruppo. Oggi in molte squadre il gruppo manca e si vede; se Varese l’anno scorso ha vinto quasi tutte le partite è anche perché Vitucci aveva formato un gruppo di giocatori. Il gruppo e il sacrificio, cose che oggi mancano. Quanti giocatori oggi lavorano per prendere i rimbalzi o fare un passaggio piuttosto che andare sempre a fare punti? Inoltre noi avevamo una grande preparazione fisica, siamo stati i primi dopo gli americani a concentrarci così tanto su questo aspetto e rispetto agli altri eravamo più pronti. Poi certo, andavi a giocare in URSS e l’Armata Rossa era praticamente la loro Nazionale e avevano giocatori alti 2.12 che facevano parte del loro esercito ed era difficile fermarli anche per questioni fisiche. Nonostante tutto però negli scontri diretti abbiamo vinto noi 2 a 1. Nessuno può emularci, abbiamo fatto 10 finali di Coppa Campioni in 10 anni e ne abbiamo vinte 5, però se ne abbiamo giocate 10 vorrà pur dire qualcosa.”

In un momento in cui il basket italiano sembra in crisi e in cui molti giocatori oltre a Turchia e Israele sembrano preferire anche la Germania, lei cosa pensa del movimento nostrano?
No, la questione non è questa ma sono i soldi. In quei paesi ci sono i soldi e da noi no. Il campionato italiano non è inferiore a quelli di quei paesi ma dal punto di vista economico siamo più poveri. Gli stranieri tante volte non vanno dove converrebbe per la loro carriera ma dove ci sono più soldi. Che poi il nostro movimento possa essere in crisi è un altro discorso. La crisi è un problema delle società e tutto deriva dalla legge Bosman: prima il cartellino era della società e non potevi liberarti come volevi, invece adesso con questa legge ognuno va dove vuole (infatti grazie a questa legge un giocatore al termine del suo contratto può trasferirsi gratuitamente in un’altra squadra, mentre prima bisognava pagare comunque un indennizzo alla società). Così giocatori e società sono in mano ai procuratori, che sbattono i loro assistiti dove gli conviene. A perderci sono soprattutto le società che muoiono e non investono nei settori giovanili.”

 Cosa è cambiato maggiormente del basket dei suoi tempi rispetto a quello di oggi? 
Le misure del campo! (ride) Sembra una cosa stupida ma chi ha giocato a basket mi capisce bene! Vorrei vedere le squadre di adesso giocare su un 12 x 24! È completamente un'altra cosa. Prima con quei campi così piccoli uno stava sotto canestro, prendeva il rimbalzo e faceva quello che voleva, c’era anche meno tempo per pensare. Oggi invece un giocatore può fermarsi, pensare, decidere quale passaggio è migliore. Quando giocavo io c’era la gente seduta ai bordi del campo, erano lì di fianco a te e il clima era diverso, c’era più adrenalina, più sacrificio, cose che adesso si respirano meno in campo. Un’altra cosa era l’attaccamento alla società dei giocatori mentre oggi di anno in anno bisogna ricostruire. Le persone venivano a vederci e si innamoravano dei giocatori che erano innamorati della società. Io non vado più al palazzetto perché questa dimensione del basket si è persa. Oggi l’atleta non si ama più, non rappresenta più quello che rappresentava una volta. L’ultimo giocatore di cui ci si è innamorati che ricordo è stato Pozzecco: lui poteva fare quello che voleva che la gente lo seguiva perché aveva capito che tipo di giocatore era. Gli altri lo fischiavano ma lo facevano perché avevano paura, perché se di uno non hai paura cosa lo fischi a fare?!?.”


Dopo questo primo scorcio di stagione che idea si è fatto delle varie squadre?
Anche l’ultima può vincere il campionato. Io non sto seguendo neanche più di tanto perché  è un gioco che non mi piace quello che propongono oggi le squadre. Non vedo squadre dominanti. Pensavo che Milano facesse qualcosa di più ma è partita male anche quest’anno. Siena la vedo così e così anche se poi queste sono squadre che hanno elementi che col tempo e nella partite che contano usciranno fuori. In effetti l’anno scorso Varese ha vinto per tutta la stagione e poi alla fine si sono sciolti mentre Siena è venuta qui e ha vinto gara 7. Ora in prima posizione c’è Brindisi e quello che penso è che il campionato quest’anno sia molto equilibrato, tutti possono vincere dappertutto ma l’equilibrio che esiste è spostato verso il basso.”

Lei ha deciso di allenare una squadra giovanile, cosa pensa dei giovani del nostro campionato? Crede che altri potranno seguire le orme degli italiani in NBA?
Non lo so, nel senso che da noi non vedo nessuno pronto per l’NBA, però bisogna vedere anche il livello dell’NBA stessa: più il livello è basso più è facile andarci. Oggi non vedo un livello altissimo dell’NBA e molti quindi ci possono puntare. Non mi sembra che gli italiani che oggi sono lì da noi facessero la differenza, però poi li vai a vedere e in America sono buoni giocatori con buone cifre e che spesso partono in quintetto. Hackett? Lui ha un buon temperamento, all’NBA può puntare. Qui in Italia fa il play ma che tipo di play è? Il basket di oggi è diverso da quello degli anni ’70 e, mi ripeto, le misure del campo contano è questo non è un aspetto secondario”.

Varese, squadra in cui lei ha giocato e allenato, sta passando un periodo di crisi e non mancano le critiche a coach e giocatori. Come giudica questo momento della Cimberio?
Credo che non sia una questione per cui dare le colpe a qualcuno, purtroppo si è in mano ai procuratori e questo vuol dire che l’anno scorso c’era una squadra e quest’anno si è dovuto ricostruire tutto anche perché, se non sbaglio, sono rimasti 3 o 4 giocatori e quasi nessuno del quintetto. Poi ricostruire è difficile e si è visto. Magari non è nemmeno una questione di gioco ma mancanza di talento. L’anno scorso Vitucci aveva creato un gruppo ma la squadra mi sembrava anche molto più talentuosa; l’asse play-pivot era qualcosa di eccezionale, mentre alla squadra di quest’anno sembrano mancare i riferimenti. Durante l’allenamento provi gli schemi ma poi li devi fare in partita. Noi abbiamo fatto per 4 anni lo stesso schema e questo funzionava talmente bene che continuavamo a riproporlo e nessuno ci fermava. Credo che un allenatore che durante il time-out usi la lavagna non sia un bravo allenatore. Si lavora in settimana, cosa vuoi che servano delle linee messe sulla lavagnetta mentre uno rifiata ed è preso dall’adrenalina?! Io in questi momenti mi incazzavo se c’era da incazzarsi, davo una strigliata e poi dicevo lo schema da fare che avevamo provato in allenamento. Anche perché si disegna sulla lavagna ma poi c’è anche la difesa che non si muove dove e come vuoi tu. E comunque, per quanto riguarda Varese, può capitare che ne vinca 2 o 3 di fila e si rimetta in carreggiata.”


Perché dopo molti anni da capo allenatore in Serie A ha deciso di ricominciare dalle giovanili di una squadra di un piccolo paese? Se arrivasse qualche offerta da qualche squadra senior?

A me piace insegnare e voglio farlo ai ragazzi, lo faccio per passione, perché mi piace il basket. Con gli adulti ho finito, non accetterei neanche una squadra di B1 o B2 perché ho scelto una strada diversa. Potrei andare a insegnare qualcosa ai grandi ma non da coach, però poi vai dai grandi e cosa vogliono imparare?! Oggi il basket è cambiato, è diverso, c’è un’altra mentalità. Preferisco i ragazzi, almeno mi tengo attivo anche io!”

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